I termini, se usati senza una specifica definizione che ne chiarifichi la complessità semantica, non hanno senso alcuno. Sento (e leggo) descrivere gli Horse Lords come una band “minimalista”, oltre che “math” e “jazz sperimentale”. Parole molto belle, ma che possono significare tutto e nulla al tempo stesso. Quello che mi sembra chiaramente rinvenibile dall’ascolto di questo loro ultimo sforzo discografico è che il quartetto americano ha una precisa idea di come si debba comporre un brano: vi sono pochi elementi primari, semplici, irriducibili in ulteriori sotto elementi. Questi fattori, presi di per sé, sono privi di valore.
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